La rappresentazione del mondo perverso è una delle tematiche psicoanalitiche più complesse e delicate, poiché ricca tuttora di enigmaticità e impenetrabilità. In un’epoca come quella attuale, in cui la perversione è giustamente condannata come un gravissimo crimine, difficile trovare qualcuno che ne ricerchi le cause, più che analizzarne solo la sintomatologia. Per rendere più comprensibili le sue caratteristiche, spesso la perversione è stata però protagonista dell’arte, la cui particolarità essenziale è quella di rendere fruibili contenuti a volte incomprensibili per l’animo umano. L’analisi di cinema, aspetti psicoanalitici e arte ci può aiutare a capire cosa si cela dietro l’assurdità dell’agire perverso.
Se si fa riferimento alla teorizzazione psicoanalitica, una classica definizione di perversione è quella che viene data da Laplance e Pontalis (1967) che la caratterizzano, in riferimento alla teoria sessuale di Freud, come una deviazione patologica dell’atto sessuale rispetto al normale sviluppo psicolibidico. Tale definizione viene ripresa anche dai più famosi manuali diagnostici, come il DSM, il quale preferisce però parlare di “parafilie” per riferirsi allo stesso tipo di attività sessuali patologiche, ricorrenti, intense, rivolte a sé, a oggetti, a bambini o a persone non consenzienti. Presupposto fondamentale della parafilia patologica è che tali attività sessuali provochino sofferenza fisica o morale nel perverso o in chi la subisce.
A livello artistico la tematica perversa è stata più volte ripresa da Pedro Almodovar. Comprendere la perversione attraverso i film del regista spagnolo vuol dire andare oltre le classiche diagnosi differenziali da manuale, e affrontare la tematica senza porsi domande, né darsi risposte, in merito alle ambivalenze del mondo perverso, alla sua disarmonia, alla sua quasi impercettibile sofferenza psichica, fisica e morale. Almodovar, con i suoi film, permette di entrare dentro un mondo assolutamente folle e patologico, ma di quel tipo di follia che, se compresa, diventa “così vicina alla tenerezza e al buon senso che non si differenzia dalla normalità” (Almodovar, 2001). Come non citare, a tal proposito, il film Parla con lei (2002), in cui il personaggio perverso di Benigno muove un sentimento amoroso e delle movenze sessuali verso Alicia, una donna in stato vegetativo persistente, fino al punto di suicidarsi nel momento in cui Alicia stessa si risveglia dal coma. O ancora Tutto su mia madre (1999), in cui vi è una commistione di ruoli sessuali, a livello interpersonale e familiare, e Lègami! (1990), la cui storia d’amore tra i personaggi si basa proprio su una relazione di tipo perverso che, delle volte, si fonde con la psicopatia, come avviene più esplicitamente rappresentato nel cruento La pelle che abito (2011).
Emerge chiaramente, unendo la rappresentazione cinematografica di Almodovar a quella psicoanalitica, che comprendere la follia di un perverso vuol dire anche riuscire a capire, come affermano Chasseguet-Smirgel (1987) e Khan (1979), che egli è dotato di una fantasia smisurata. Una fantasia che gli permette di crearsi un mondo fittizio parallelo alla realtà, in cui l’atto sessuale perverso diviene l’unico modo di amare e di avvicinare l’altro, nonché l’unico modo di mantenersi aggrappato alla vita reale e di ritrovare, in essa, un equilibrio (seppur patologico e precario). I personaggi di Almodovar esprimono bene questa assurdità perversa, in quanto ricercano l’amore solo attraverso la parafilia, proprio perché non l’hanno mai ricevuto né conosciuto in passato. Andando al di là degli ovvi giudizi morali e sociali negativi, in Almodovar si può ritrovare un po’ d’amore perfino in atti sessuali violenti, poiché il regista riesce a rendere consapevole lo spettatore che quella follia, perversa e deplorevole, è il frutto di anni di solitudine, di relazioni genitoriali assenti, di vite sociali spezzate e di forme d’amore genitoriali carenti. Tutte caratteristiche rinvenibili nei più comuni casi gravi di parafilie.
Nei film di Almodovar il perverso, quindi, vive in un mondo scisso, fatto di fantasia e realtà, che si riflette nello spettatore, provocando in lui da un lato errore e disprezzo e, dall’altro, una volta entrato nella logica perversa, sentimenti paradossalmente di tipo empatico. La laboriosità del cinema di Almodovar riflette d’altronde la complessità della tematica, piena di contraddizioni e oscurità, di cui qualsiasi personalità perversa è caratterizzata e che spesso nell’arte cinematografica viene più palesemente disvelata. L’invito del cinema di Almodovar, però, non è di giustificare la perversione, ma di comprenderla, al fine, magari, di prevenirla.
Riferimenti bibliografici
Almodovar, P. (2001). Hable con ella, Einaudi: Torino, 2003.
Chasseguet Smirgel, J. (1985). Creatività e perversione, Cortina: Milano, 1987.
Khan, M. (1979). Le figure della perversione, Bollati Boringhieri: Torino, 1982.
Laplance, J., Pontalis, J.B. (1967). Enciclopedia della psicoanalisi, Editori Laterza: Bari, 2010.