Psicoterapia dinamica breve: alcuni accenni esperienziali
Eviterò di parlare per mezzo di tecnicismi nel riferirmi alla psicoterapia dinamica breve. L’obiettivo è di dare soltanto qualche accenno teorico e pratico, affinché si possa avere un’idea più chiara su cosa è e cosa non è la psicoterapia dinamica breve.
Quando ho parlato di psicoterapia psicodinamica in termini generali, ho sempre fatto riferimento a qualcosa di esperienziale. Ciò vuol dire che un percorso di psicoterapia comporta avere a che fare con emozioni, sentimenti, ansie, relazioni, conflitti, paure e via dicendo. E’ dal toccare con mano il proprio disagio e la propria sofferenza che si innesta il desiderio di cambiamento.
La psicoterapia dinamica breve, come lo stesso termine suggerisce, si propone di diminuire la durata del trattamento poiché enfatizza il focus su uno degli elementi psicologici sopra accennati.
Essa, in definitiva, sostiene che la salute mentale di una persona è influenzata dai suoi conflitti inconsci. Questi conflitti inconsci, generalmente originatisi nell’infanzia, hanno nel tempo creato sensazioni dolorose interne tenute nascoste da meccanismi di difesa strutturati. Lo psicoterapeuta, lavorando attivamente alla comprensione di tali difese, scardinerà l’inconscio e favorirà l’elaborazione del conflitto connesso. Facendo così, in un’ottica prettamente esperienziale, allevierà la sofferenza psichica del paziente e quest’ultimo darà vita al vero e proprio cambiamento (insight).
La psicoterapia dinamica breve, quindi, fa parte delle psicoterapie psicodinamiche di derivazione psicoanalitica, ma di queste ne enfatizza al massimo le caratteristiche procedurali. È da ciò che deriva la brevità e l’esperienza di cambiamento di cui è caratterizzata, ma con alcune particolarità che vale la pena di approfondire.
Psicoterapia autogena: caratteristiche
Presupposto fondamentale perché possa avvenire la psicoterapia autogena, è che il paziente impari bene il training autogeno. La psicoterapia, quindi, inizierà con l’insegnamento dei normali esercizi di training, a partire dallo stato generalizzato di calma. A differenza del semplice rilassamento psicofisico, però, in questo caso verrà dato ampio spazio all’approfondimento delle sensazioni psicofisiche avute durante lo svolgimento di ogni singolo esercizio. Spesso, infatti, ognuno di essi potrà essere fonte di disagio proprio perché collegato a specifici eventi esistenziali e/o traumatici. Analizzare e interpretare queste sensazioni, pertanto, vorrebbe dire favorire l’elaborazione di detti eventi.
Come avviene per il training autogeno, anche in questo caso verrà chiesto di compilare adeguatamente un protocollo. Il compito del paziente sarà quello di riportare in esso tutte le sensazioni psicologiche e fisiche provate durante lo svolgimento di un determinato esercizio. Ad esempio formicolii, immagini particolari, visione di colori, o ancora visualizzazione di persone o di oggetti.
In seguito, all’interno della seduta di psicoterapia autogena, queste sensazioni psicofisiche verranno analizzate e interpretate alla luce del problema presentato dal paziente. Si procederà in questo modo sia con gli esercizi di base che con quelli del training autogeno superiore. Almeno fino a quando il processo di cura non avrà fatto il suo corso.
La psicoterapia autogena, dunque, si presenta come un lungo percorso di riequilibrio personale e di autoanalisi, facente leva proprio sui meccanismi dell’autogenia. Si pone a un livello più profondo rispetto alla semplice ricerca di quiete e benessere, poiché va a intaccare contenuti inconsci a volte indispensabili per risolvere conflitti psichici interiori. Come tutte le psicoterapie, inoltre, dovrà adattarsi alle necessità del paziente. Dovrà, ovvero, condurlo alla risoluzione ottimale delle proprie sintomatiche sulla base delle sue capacità. Il training autogeno, pertanto, non è solo una metodica di rilassamento, ma anche un metodo di indagine psicoterapeutica molto profondo.
Obiettivi e peculiarità della psicoterapia autogena
L’elaborazione dei disturbi presentati dal paziente, avviene secondo una precisa idea teorica di base. Questa visione teorica, denominata da Schultz “bionomia”, è la stessa su cui fa leva anche il training autogeno: la visione unitaria psiche-soma dell’essere umano. Un disturbo psicologico, infatti, è causato, secondo questa visione bionomica della vita, da una più generica disregolazione psicofisica interna. Il problema e i sintomi psicologici presentati dal paziente, pertanto, saranno una naturale conseguenza di questa disregolazione interna.
Il disequilibrio interiore, la cosiddetta “abionomia”, può essere causato da un evento traumatico o un lutto. A seguito di tali circostanze, infatti, è come se la persona fuoriuscisse dai propri binari e non ritrovasse più la strada che le apparteneva.
Secondo Schultz, è proprio questo “perdersi” che causa il disturbo psicologico. Solo riportando la persona a crescere secondo la propria naturale inclinazione, si porterà risoluzione al disturbo psicologico. E ciò può avvenire soltanto attraverso il training autogeno e la psicoterapia autogena.
La psicoterapia autogena ritrova dunque le proprie origini nella neurofisiologia e nella psicologia del profondo. Lo sperimentare in modo costante le sensazioni fisiche e psichiche dettate dal training autogeno, se correttamente analizzate e interpretate, permette al paziente di raggiungere obiettivi di fondamentale importanza. Questi ultimi sono l’autoanalisi, una fattiva autoconoscenza e una più matura autorealizzazione. Con il raggiungimento di questa maturità mentale interna, la risoluzione del disturbo psicofisico diventerà una naturale conseguenza.